Stare da soli non è sentirsi soli. Un ritiro volontario purificatore è differente dal senso di solitudine spesso condito da un sentimento di rifiuto o di abbandono o di paura della solitudine.
Stare da soli non è sentirsi soli. Un ritiro volontario purificatore è differente dal senso di solitudine spesso condito da un sentimento di rifiuto o di abbandono o di paura della solitudine.
Lo notiamo meglio nel periodo appena passato. Dicembre con le cene, pranzi, aperitivi o semplicemente incontri veloci per gli auguri. Ai primi di gennaio, esausti esclamiamo: finalmente è finito! Questo abbiamo pensato in tanti, soprattutto gli ostili alla pressione del bere, mangiare, del mostrarsi forzatamente felici e sorridenti, il tutto condito da chiacchiere inutili.
Perché la società questo ci impone: essere cool comunque e ovunque, ma non funziona proprio così.
Abbiamo bisogno di equilibrio, di alternanza e di sentire quando siamo up e quando è il momento di ristorare le proprie energie concedendosi una pausa tutta slow moving.
Un incontro con sé stessi prendendosi cura del proprio corpo e della propria anima.
Questi momenti così benefici sono un po’ controcorrente: diventiamo consumatori difettosi e cittadini non allineati. La nostra cultura vede con sospetto il ritiro, le pause, la riflessione etichettando questa nostra scelta come introversione, come accidia quando non depressione. Nelle regole di San Benedetto, al capitolo VI°, troviamo una breve apologia del silenzio: “parlare e insegnare appartiene al maestro, tacere e ascoltare spetta al discepolo”; tuttavia introducendo la regola sul lavoro quotidiano afferma che “l’ozio è nemico dell’anima”.
L’apprezzamento dell’isolamento sembra più collegato alla difesa dalle pressioni esterne più che alle tipologie psicologiche descritte da Jung come estroversione e introversione.
In un articolo del 2017, su Mental Health, Glòria Durà-Vilà e Gerard Leavey dell’UCL, (University College London) raccontano di monaci e monache contemplativi che pur conducendo una vita comunitaria scelgono di non interagire gli uni con gli altri per poter raggiungere una “perfetta vicinanza a Dio”. Queste persone fanno della solitudine una scelta.
Ma attenzione, perché il discorso funziona solo se lo stare soli è una scelta non un’auto imposizione dove il benvenuto alla solitudine vuol dire scappare altrove oppure sentirsi soli anche circondati dalla gente.
Lo stare soli è salutare solo quando è una scelta consapevole ed è un tempo per ascoltare meglio i nostri bisogni, recuperare energie, ritrovare il benessere