Terrore e silenzio, questo era il peso della vita segreta di Imelda, una giovane donna per anni costretta a subire abusi sessuali in famiglia.
Dentro di noi c’è la parola basta? Sì e spesso non sappiamo dove sia.
Forse in un angolo del nostro corpo, in un cassettino della nostra testa che teniamo appositamente chiuso con la chiave della paura e … della rinuncia perché così dev’essere. Due sillabe: ba-sta.
La difficoltà sta nel sentirle, il passo difficile è pronunciarle.
Quindi, rinunciamo restando imprigionati in quel destino beffardo e ci raccontiamo che la sorte ha voluto per noi una vita così. Perché in fondo, sbagliando pensiamo, ce lo meritiamo.
Dunque, non siamo degni di stare bene? Assolutamente… falso, tutti lo sono (degni di stare bene), per riuscirci è necessario scovare e urlare quel BASTA per mettere fine alla sofferenza del corpo e dell’anima.
Con questa due sillabe – ba sta – si intreccia e sviluppa anche la vicenda di Imelda Cortez di El Salvador. Un Paese conosciuto ai più per le spiagge e i surfisti e non per la legge sul divieto totale di aborto. É proprio qui, invece, che accade la storia di Imelda, una ragazza di 19 anni, rimasta incinta dopo anni di violenze subite dal patrigno settantenne, il quale, ai soprusi aggiungeva intimidazioni. “Mi diceva che se avessi raccontato qualcosa avrebbe ucciso me, mia madre e i miei fratelli”, ha raccontato ad una rivista del suo Paese.
Terrore e silenzio, questo era il peso della vita segreta di Imelda, una giovane donna per anni costretta a subire abusi sessuali in famiglia. Il buio pesto – che non pensava di poter trasformare in luce – è iniziato nel 2016, quando Imelda scopre di essere incinta come conseguenza dell’ennesima volenza del nuovo compagno della madre. Il cortocircuito è ad un passo, la ribellione anche, Imelda è pronta a dire basta. Ma lei ancora non lo sa. Perché quell’urlo è bloccato in gola.
Il 17 aprile del 2017 Imelda, all’ottavo mese, partorisce la sua bambina nel bagno di casa, poi sviene. La corsa in ospedale e i medici che insinuano che la giovane invece di partorire aveva provato ad abortire. La denuncia alla polizia, il processo e l’accusa di tentato omicidio aggravato e aborto fallito: rischio di condanna a vent’anni.
Per lei il carcere nonostante Imelda continuasse ad affermare che non sapeva di essere incinta. Diciotto mesi in cella e, a dicembre scorso, la sentenza dei giudici: libertà per Imelda inconsapevole di aspettare un bambino e che mai aveva cercato di uccidere la figlia.
“Questo verdetto rappresenta una speranza per le donne che sono ancora in prigione e vengono processate per omicidio aggravato”, ha spiegato, Ana Martinez, avvocata di Imelda.
E il patrigno? É in carcere in attesa di processo.
Questo il mio augurio oggi, per l’8 marzo, a tutte le donne con le parole di Anna Frank:
“So quello che voglio. Ho uno scopo, un pensiero, ho la fede e l’amore. Permettetemi di essere me stessa e sarò soddisfatta. So che sono una donna, una donna piena di coraggio e di forza d’animo”
Sandro
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